Non più tardi di sabato, Emmanuel Macron dissertava con Joe Biden di scenari mondiali, alleanze franco-statunitensi, Olimpiadi. A distanza di neanche 24 ore, invece, è un “semi-Presidente”, visto che è dimissionario, avendo indetto nuove elezioni esattamente tra 20 giorni (1° turno) dopo la clamorosa sconfitta di ieri alle Europee, dove il suo partito è stato più che doppiato da quello guidato da Marine Le Pen (14,9% vs 32%).
Appena meglio è andata a Olaf Scholz in Germania, anche lui al 14%, ma dove ha vinto lo schieramento di centro, che è riuscito ad arginare l’ultra-destra (comunque seconda forza del Paese): qui, al momento, la situazione è in bilico e bisognerà capire se l’attuale maggioranza (soprannominata “semaforo” per via della molteplicità dei partiti che la compongono) avrà ancora la “forza” per indirizzare un’azione di governo degna di questo nome.
In Belgio sorte analoga a quella della Francia, con il Primo Ministro Alexandre De Croo che ha rassegnato immediatamente le dimissioni.
Peraltro lo “sconquasso” politico (a scrutini non ancora completamente chiusi, anche se sull’esito non ci sono più dubbi) più che abbattersi sull’Europa sembra colpire i singoli Paesi, almeno quelli in cui il risultato elettorale è stato più clamoroso. Infatti, a livello puramente politico, non sembrano esserci particolari spostamenti, con gli europeisti che potranno continuare a contare su una maggioranza piuttosto ampia, per quanto la “destra-destra” qualche passo avanti lo abbia fatto. E’ probabile, quindi, che la nuova Commissione che verrà nominata nelle prossime settimane possa continuare il percorso iniziato dalla precedenza senza troppi problemi.
Tutto da definire, invece, quello che potrebbe succedere nelle 2 economie più forti in Europa, il cui “peso” (non solo economico, ma anche politico) non è indifferente: ecco il vero “terremoto” che potrebbe “squilibrare” l’Europa e cambiare le “carte in tavola”.
Per quanto riguarda i mercati, a prevalere dovrebbero continuare ad essere i dati puramente economico-finanziari, anche se, almeno oggi, soprattutto per quelli europei, è lecito aspettarsi un po’ di nervosismo, in attesa di capire meglio quali scenari potrebbero prospettarsi.
A condizionarli maggiormente potrebbero essere i dati d’oltre oceano, pubblicati venerdì.
Ha sorpreso, infatti, ancora una volta la forza del mercato del lavoro americano: solo nel mese di maggio sono stati creati oltre 272.000 nuovi posti di lavoro, ben oltre i 190.000 previsti e ancor di più verso i 165.000 di aprile.
Peraltro, il livello di disoccupazione, dopo 27 mesi (era il gennaio 22) è tornato a toccare il 4%: un dato conseguente al fatto che sono complessivamente diminuiti, a livello nazionale, gli occupati totali (– 408.000), a cui, probabilmente, si accompagna la considerazione che è aumentato anche il numero di coloro che cercano lavoro (è questa la base su viene conteggiato il livello di disoccupazione).
Motivi che spingono nuovamente gli operatori e gli analisti a ritenere che la FED, nei 2 prossimi Comitati (11-12 giugno e poi luglio) dovrebbe lasciare le cose come stanno (a pensarlo oltre il 90% degli “addetti ai lavori”), percentuale che scende al 50% per settembre. A rafforzare questa convinzione anche le previsioni di un’economia, per quanto si intravedano, qua e là, segnali di rallentamento, con una buona tenuta, tipica di una fase di “normalizzazione”, che allontana brusche frenate e recessione. Condizioni che (usare il condizionale è d’obbligo) potrebbero condizionare, rallentandole, le mosse della BCE: il rischio, già evidenziato, è che si venga a creare un “gap” ampio tra tassi Usa e tassi UE (già oggi siamo al 4,25% vso il 5,25-5,50%) che darebbe un’ulteriore “spallata” all’Euro favorendo il $ (già oggi qualche “indizio” lo si può notare) e permettendo all’inflazione (importata) di insinuarsi nuovamente nei bilanci familiari.
La prima cosa che “salta all’occhio”, questa mattina, è, appunto, la debolezza dell’€, che, un po’ per l’esito elettorale, un po’ per i dati americani, questa mattina tratta a 1,0752 vso $.
Mercati asiatici a “scartamento ridotto” a causa della contemporanea chiusura di Shanghai e Hong Kong.
In rialzo il Nikkei, vicino al + 1%.
In leggero calo Singapore, mentre ha aperto intorno alla parità il Sensex di Mumbai.
Tutti in ribasso i futures, in particolare, come c’era da aspettarsi, quelli euopei, il cui calo supera lo 0,70%, trascinati dal CAC parigino, attorno al – 1%.
Più marginale il passo indietro di Wall Street, al momento tra – 0,10/0,15%.
Petrolio in leggero rafforzamento, con il WTI a $ 75,68 (+ 0,11%).
Gas naturale Usa che torna a $ 3 (2,99, + 2,30%).
Deciso passo indietro per l’oro, che questa mattina tratta a $ 2.308, – 0,79%.
Decolla lo spread, che si porta a 137,4.
In rialzo anche i rendimenti obbligazionari, con il BTP di nuovo ad un passo dal 4% (3,98%).
Bund al 2,61%.
Treasury al 4,45%.
Come detto, ampi movimenti sui cambi, con il $ in rafforzamento.
Scivola (come spesso succede in situazioni analoghe, a conferma di una certa “correlazione” con i mercati azionari) il bitcoin, sceso sotto i $ 70.000 (69.455).
Ps: quando si pensa al gelato si pensa, normalmente, all’estate. Ma è uno stereotipo superato: ormai, infatti, lo si può definire, a tutti gli effetti, “quattro stagioni”.
La conferma arriva anche dai numeri: l’anno scorso, solo nel nostro Paese, ne sono stati venduti “solo” 3,7 MD di “pezzi” (si parla di gelati confezionati), pari a circa 170.000 tonnellate e per un controvalore di € 1,9 MD. Tradotto, un consumo pro-capite di circa 2,14 kg (il 40,7% del campione intervistato dichiara di mangiarne almeno 3 a settimana).